Attività di reinserimento per detenuti in misura alternativa



L’ Associazione Gruppo Idee ha maturato nel corso degli anni, una solida esperienza nell’accoglienza e il reinserimento nel mondo lavorativo di detenuti, uomini e donne, ammessi a misure alternative al carcere, i quali vengono seguiti in un percorso di reinserimento sociale e di accompagnamento verso l’autonomia economica. Gruppo Idee si avvale della collaborazione di altre realtà come Cooperative e Associazioni. Tante sono le iniziative volontarie nate in collaborazione con i comuni soprattutto per il decoro urbano. Le altre attività che vengono ad oggi svolte dalle persone prese in carico sono attività di segreteria, inserimento dati, centralino, custodia e gestione e manutenzione del verde.

le misure alternative previste dall’ordinamento penitenziario e le sue regole

L’Ordinamento Penitenziario prevede tre opzioni secondo le quali il detenuto ha la possibilità di svolgere un’attività lavorativa presso associazioni e imprese esterne al carcere:

LAVORO ALL’ESTERNO

Non si tratta di una vera misura alternativa alla detenzione ma di un beneficio, concesso dal direttore dell’Istituto di pena, che consiste nella possibilità di uscire dal carcere per svolgere un’attività lavorativa, anche autonoma (art. 48, comma 12, R.E.), oppure per frequentare un corso di formazione professionale (art. 21 O.P., comma 4 bis). La legge 8 marzo 2001, n° 40, ha introdotto la possibilità di ammettere al lavoro esterno le madri di bambini di età inferiore ai 10 anni (o i padri, se la madre è deceduta, o impossibilitata), per prestare assistenza ai figli (art. 21 bis O.P.).

POSSONO USUFRUIRE DEL BENEFICIO

  • gli imputati, previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria (art. 21 bis O.P., comma 2);
  • i condannati e gli internati per reati diversi da quelli previsti all’art. 4 bis O.P.;
  • i condannati per reati previsti all’art. 4 bis O.P., dopo l’espiazione di un terzo della pena e, comunque, di non oltre 5 anni;
  • i condannati all’ergastolo, dopo l’espiazione di almeno 10 anni.



LIMITI ALL’AMMISSIONE

  • I detenuti e gli internati per reati associativi (416 bis e 630 c.p., art. 74 D.P.R. 309/90) possono essere ammessi al lavoro esterno solo se collaborano con la giustizia, oppure quando la loro collaborazione risulti impossibile, ad esempio perché tutte le circostanze del reato sono già state accertate (art. 4 bis O.P., comma 1, periodo 1).
  • I detenuti e gli internati per altri reati gravi (commessi per finalità di terrorismo, omicidio, rapina aggravata, estorsione aggravata, traffico aggravato di droghe) possono essere ammessi al lavoro esterno solo se non vi sono elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata o eversiva (art. 4 bis O.P., comma 1, periodo 3).
  • Chi è evaso, oppure ha avuto la revoca di una misura alternativa, non può essere ammesso al lavoro esterno per 3 anni (art. 58 quater, commi 1 e 2, O.P.). Non vi può essere ammesso per 5 anni nel caso abbia commesso un reato, punibile con una pena massima pari o superiore a 3 anni, durante un’evasione, un permesso premio, il lavoro all’esterno, o durante una misura alternativa (art. 58 quater, commi 5 e 7, O.P.).

SEMILIBERTA’: “consiste nella concessione al condannato e all’internato di trascorrere parte del giorno fuori dall’Istituto per partecipare ad attività lavorative, istruttive o comunque utili al reinserimento sociale” (art. 48 O.P.).

DA SAPERE

  1. Per essere ammesso alla semilibertà il reo deve aver scontato almeno metà della pena (20 anni per il condannato all’ergastolo) e la condanna deve essere superiore ai sei mesi.
  2. La semilibertà può essere applicata fin dall’inizio quando la condanna è inferiore a sei mesi o all’arresto se il condannato non è affidato in prova ai servizi sociali.[1]
  3. Il regime di semilibertà può essere revocato qualora il soggetto perda il lavoro, o non sia idoneo al trattamento o, a giudizio del tribunale di sorveglianza, che abbia violato le prescrizioni imposte o qualora il condannato non faccia ritorno in istituto senza giustificato motivo (se l’assenza non supera le dodici ore la revoca è facoltativa). Tale assenza costituisce reato di evasione, punibile ai sensi dell’art. 385 codice penale.

AFFIDAMENTO IN PROVA AI SERVIZI SOCIALI:

Può essere definito come il tipo di sanzione penale che consente al condannato di espiare la pena detentiva inflitta, o comunque quella residua, in regime di libertà assistita e controllata. L’applicazione dell’affidamento da un lato fa venir meno ogni rapporto del condannato con l’istituzione carceraria e dall’altro comporta l’instaurarsi di una relazione di tipo collaborativo con l’ufficio di esecuzione penale esterna. A questo fine viene elaborato un programma di trattamento individuale, che declina le attività che il reo dovrà svolgere, gli obblighi e gli impegni cui deve attenersi ed i controlli cui sarà sottoposto. L’esito positivo del periodo di prova, la cui durata coincide con quella della pena da scontare, estingue la pena ed ogni altro effetto penale. Viene concesso dal Tribunale di Sorveglianza competente. All’affidato che abbia dato prova nel periodo di affidamento di un suo concreto recupero sociale, desumibile da comportamenti rivelatori del positivo evolversi della sua personalità, può essere concessa la liberazione anticipata CHI LO PUO’ CHIEDERE I condannati ad una pena , o residuo di pena, non superiore a:

  1. a tre anni (art. 47, comma 1);
  2. a quattro anni (art. 47, comma 3 bis) quando il reo abbia serbato, quantomeno nell’anno precedente alla presentazione della richiesta, trascorso in espiazione di pena, in esecuzione di una misura cautelare ovvero in libertà, un comportamento tale da far ritenere che il provvedimento stesso, anche attraverso le prescrizioni, contribuisca alla sua rieducazione e assicuri la prevenzione del pericolo che commetta altri reati.